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Accademia di  Belle Arti di Frosinone. Laboratorio con persone con sindrome di Down.

Come ci si forma in tema di accessibilità?

L'esperienza dell'Accademia di Belle Arti di Frosinone

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Nome autore
Data
30 luglio 2025

di Paolo Marabotto

Negli ultimi tre anni l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, inizialmente sotto la direzione della professoressa Loredana Rea e attualmente sotto quella della professoressa Stefania di Marco, ha investito molto nella creazione di percorsi di formazione sull’accessibilità.

Dal 2023 è infatti iniziata una collaborazione con Museo Facile, spin-off accademico dell’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale diretto dalla professoressa Ivana Bruno, che ha animato alcuni workshop su arte e cecità, arte e sordità e arte e storytelling finalizzati alla coproduzione con gli studenti di dispositivi per rendere accessibili alcune opere del Museo dell’Arte Contemporanea (MACA) dell’Accademia di Frosinone. Questi dispositivi saranno a breve fruibili sulla piattaforma digitale dell’Accademia. 

Contemporaneamente, sollecitati da richieste di realtà locali e in particolare dell’AIPD di Frosinone, che lavora con ragazzi con sindrome di Down, e dell’Associazione Anche Noi, che lavora con ragazzi con disturbo dello spettro autistico, abbiamo iniziato a lavorare, nell’ambito del corso di Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo, sull’accessibilità per persone con disabilità cognitiva.  

Quest’anno il corso può inoltre contare sul contributo della dottoressa Ester Orglia, dottoranda in pedagogia e didattica dell’arte, che lavora al progetto Accessibilità museale per persone con Sindrome di Down: un’indagine sugli aspetti emotivi, cognitivi e comportamentali dell’esperienza artistica

Nella nostra accademia non ci sono cattedre di arte terapia e questo ci ha stimolato a cercare di capire quale sarebbe potuto essere il nostro specifico contributo nella formazione degli studenti e nel lavoro con i ragazzi delle associazioni. 

La specificità della didattica accademica, improntata su un approccio teorico pratico, ci ha portato a concepire un percorso funzionale alla formazione di competenze in grado di progettare e realizzare attività esperienziali dove idee ed emozioni fossero processate attraverso le mani, utilizzando linguaggi e tecniche apprese nel corso degli anni.  Il percorso era organizzato in una fase iniziale, nel primo semestre, fatta di studio, ricerca, apprendimento di metodologie e ambiti da attenzionare, e di una successiva, nel secondo semestre, dedicata alla costruzione e animazione di laboratori proseguendo così la formazione con l’esperienza e la verifica critica sul campo. 

Abbiamo dunque organizzato il corso in questo modo. 

Prima fase

Imparare ad ascoltare  

Ogni attività didattica si costruisce a partire dall’ascolto

  • ascolto degli studenti mediante lo spoglio di un questionario finalizzato a conoscere i percorsi di formazione, le passioni, le competenze e le abilità; 
  • ascolto delle Associazioni per comprendere necessità, obiettivi e attese e per evitare di proporre loro percorsi standardizzati e proiettivi di stereotipi. Negli anni ci è stato chiesto di affrontare temi quali: la presa di consapevolezza di sé, la relazione con gli altri, la conoscenza e la gestione della rabbia. 

 Scegliere le opere su cui lavorare 

Congiuntamente, operatori delle associazioni (educatori e psicologi) e studenti selezionavano per ogni argomento alcune opere presenti al MACA. Abbiamo sempre scelto di partire da opere esperibili fisicamente perché la fruizione diretta costituisce già una esperienza in sé. La caratteristica delle opere doveva essere quella di evocare o fornire spunti di contiguità con il tema scelto.   

Di fronte alle opere gli studenti sostavano lungamente compilando un questionario personale su cui annotare

  • emozioni;
  • sensazioni fisiche;
  • evocazioni e associazioni;
  • idee collegate all’opera.  

Gli studenti, al momento della compilazione del questionario, conoscevano parzialmente o ignoravano del tutto chi fosse l’autore e quale fosse il significato dell’opera. 

Questo approccio era funzionale a recepire molto liberamente quei flussi emotivi ed esperienziali che sprigiona l’opera e che potrebbero diventare percorsi da condividere. Flussi liberi e non condizionati dalla conoscenza e autentici, perché vissuti in prima persona, avrebbero reso più credibile la loro testimonianza nei laboratori.  

Ricerca e costruzione di una mappa concettuale 

Si passava poi allo studio dell’opera e dell’artista sforzandosi di organizzare le informazioni per temi, concetti e stilemi. Da qui si costruiva una prima mappa concettuale che si implementava nel lavoro in piccoli gruppi attraverso brainstorming e in cui si associavano liberamente ai concetti trovati le più disparate: immagini, osservazioni, procedure, giochi, attività, racconti, citazioni.    

Definire la struttura dei laboratori 

Da questa mappa si sceglieva un punto da cui partire e a cui collegare gli altri. Si iniziava quindi a costruire ipotesi di sequenza di attività, riflessioni, immagini, narrazioni, ecc. che costituivano lo scheletro del laboratorio.  

Questo aveva una struttura semplice che poteva anche ripetersi più volte: il momento del lancio o fase di coinvolgimento; un’attività manuale; una conclusione, cioè un momento di elaborazione in cui si cercava di estrapolare dall’esperienza immagini e parole per metabolizzarla.   

Ambiti da attenzionare 

Nel costruire il laboratorio si è prestata attenzione: 

  • a tempi, durata dell’attività e parabola dell’attenzione degli utenti: questo ci aiutava a scegliere i momenti più propizi per lanciare i temi, quelli di picco e quelli di scarico, programmare l’alternanza di tecniche, figure, toni, posture e spazi, ecc.; 
  • al linguaggio. Usare un linguaggio sostenibile per gli interlocutori senza banalizzare e rinunciare alla complessità degli argomenti. Riformulare più volte i concetti e i processi usando immagini, analogie, manipolazioni ed esempi per non proporli nella loro forma astratta. Scrivere una sorta di sceneggiatura per sintonizzarci con le frequenze dei fruitori. Affrontare la complessità sequenziandola in passaggi semplici affidandosi a metafore e analogie. Creare racconti illustrati e brevi cartoons; 
  • allo spazio. Aumentare la consapevolezza che le relazioni spaziali comunicano e quindi prestare attenzione alle diverse disposizioni durante le attività. Organizzare gli spazi diversificandoli per funzione. Territorializzare e ritualizzare lo spazio;    
  • al gioco e all’ironia: «Tutto col gioco niente per gioco», diceva Baden Powell. Abbiamo impostato tutte le attività nell’atmosfera gioco: un ambiente gioioso, allegro, ironico, leggero, non giudicante;  
  • alla manualità e alle immagini. Ogni concetto che si voleva comunicare doveva essere processato attraverso attività manuali affinché non rimanesse una enunciazione teorica ma avesse un concretezza, una sfericità che si poteva visitare e attraversare e quindi riempirla di senso personale. Per ogni concetto si cercava di comunicare più registri linguistici per approcciarlo. Abbiamo riflettuto e praticato su quanto e come il pensiero si possa costruire per immagini e manipolazioni.  

Seconda fase 

Schede 

Prima dei laboratori sono state inviate alle associazioni alcune schede molto semplici sull’opera e sull’artista in cui si presentava: l’artista, l’opera, il suo significato e altre opere che sviluppano lo stesso tema.  

Laboratori 

Il giorno del laboratorio i ragazzi trovavano uno zainetto e un raccoglitore dove conservare i materiali prodotti e gli spunti da approfondire, magari in associazione o a casa.  

Ci si recava davanti all’opera e, dopo una breve spiegazione/interazione/coinvolgimento, si tornava in aula dove più comodamente seduti riproiettando l’opera sulla LIM si avviava un confronto. Successivamente iniziavano le attività con un momento di pausa per la merenda, necessario anche per parlare singolarmente con i ragazzi. Nei laboratori con i ragazzi con sindrome di Down il professor Carlo Delli Colli animava un momento di movimentazione corporea in cui trasponeva in movimenti individuali e di gruppo i temi laboratoriali.   

Il laboratorio terminava con un momento di condivisione e di restituzione dei vissuti animato dagli operatori delle associazioni e la compilazione di un breve questionario individuale. 

La formazione degli studenti durava tutto l’anno e gli incontri con i ragazzi delle associazioni erano 5 per anno da febbraio a maggio. L’anno finiva con una festa e una mostra in accademia aperta a tutti, nel corso della quale venivano proiettati filmati e distribuiti i diplomi.  

Quest’anno gli studenti dell’accademia e i ragazzi delle associazioni hanno animato due laboratori per le scuole sui medesimi temi da loro affrontati durante l’anno. Si sono divisi i compiti secondo le proprie possibilità: chi spiegava, chi aiutava a distribuire i materiali, chi affiancava gli studenti nelle diverse fasi. È stata un’esperienza molto coinvolgente e straordinariamente significativa per la crescita dell’autostima di tutti.   

Considerazioni finali 

Credo che sul tema dell’accessibilità, sia per quanto riguarda la formazione che l’accoglienza, le Accademie possano svolgere un ruolo specifico per una serie di motivi. 

Tutti gli indirizzi accademici infatti formano studenti capaci di creare, innovare e sperimentare linguaggi artistici che ampliano continuamente il fronte della comunicazione consentendo la connessione con sensibilità diverse.  

Questo approccio rende particolare la modalità di costruire accessibilità, perché mentre scopre registri diversi per connettersi con la disabilità cognitiva, questa diventa di fatto un nuovo sentiero praticabile per tutti per arrivare all’esperienza dell’arte. 

La ricerca di nuovi registri dilata enormemente la soglia di accessibilità all’arte per tutti.  

Il titolo che abbiamo dato al laboratorio con i ragazzi con disturbo dello spettro autistico è stato I viaggi di Gulliver, che poi a guardar bene si tratta di naufragi! E cosa è che naufraga se non le consuetudini, il senso comune e una modalità stereotipata o eccessivamente razionale e controllata per approdare all’arte, che non ci permette di comprenderla e di arrivare allo stadio del senso che può avere per ciascuno di noi? 

Formare all’accessibilità significa ripensare i percorsi di esplorazione e scoperta dell’arte, sintonizzarsi sulle risposte degli utenti e lasciarsi portare in universi inesplorati. È un’esperienza necessaria all’acquisizione di un punto di vista diverso, forse di una visione, per tutti.

Questo mio contributo rende conto di un lungo percorso di consapevolezza maturato in diversi momenti e contesti grazie all’incontro con Giuseppina Digrandi (responsabile progetto accessibilità e professoressa di Psicologia dell’arte, Accademia di Frosinone); Loredana Rea (storica dell’arte e responsabile MACA, Accademia di Frosinone); Carlo Delli Colli (professore di informatica per la grafica, Accademia di Frosinone); Donella Di Marzio (professoressa di Pedagogia dell’arte, Accademia di Napoli); Ivana Bruno (professoressa di Museologia e critica artistica, UNICAS/Museo Facile); Piero Lucisano (professore emerito di Pedagogia sperimentale, Sapienza. Università di Roma); Martina De Luca (già responsabile della Didattica alla GNAM di Roma, Responsabile della Formazione e Curatore del Corso, Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali); Caterina Bolasco (storica dell’arte animatrice e illustratrice); Pietro Vecchiarelli (responsabile del settore “Libri Tattili” della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi); Francesca Colonnelli (responsabile Associazione Cornelia); Ester Origlia (dottoranda UNICAS-Accademia di Frosinone); Valentina Pacifici (regista e filmaker); AIPD, Frosinone; Associazione "Anche Noi", Frosinone; Associazione "Le Torri", Roma; Claudia Tanga (psicologa).